I Campi flegrei sono da sempre terra di miti e leggende e tutti i popoli che hanno vissuto in questi luoghi sono rimasti affascinati dai fenomeni vulcanici così intensi e quotidiani tanto da favorire la nascita di spiegazioni più o meno fantasiose al riguardo della natura dei luoghi.
La terra flegrea stupisce spesso non solo per le scosse bradisismiche e le altre attività vulcaniche ma anche per i bagliori del passato che conserva gelosamente, e il ritrovamento della ormai celebre “Tomba del Cerbero” nel comune di Giugliano in Campania ci ha permesso di ammirare uno splendido affresco dove campeggia il mostruoso guardiano dell’oltretomba greco, ovvero Cerbero il cane a tre teste figlio del titano Tifeo e della orribile consorte Echidna.
Come tante altre figure della mitologia greca (e poi romana) Cerbero non solo è di casa nei Campi Flegrei ma per un certo periodo è stato uno dei simboli di questo territorio.
Come mai?
Come per tanti aspetti della storia dei Campi Flegrei l’Archè (origine) si trova a Cuma, infatti la più antica colonia greca d’Occidente aveva scelto la figura del Cane Tricipite (a tre teste) come simbolo della Polis (città) tanto da far apparire un Cerbero sulla moneta più pregiata (e di maggior valore) che si coniava in loco, ovvero lo statere in argento che al dritto mostrava un ritratto della ninfa Kyma (allegoria della colonia) mentre sul rovescio ospitava oltre al già citato cane infernale anche una conchiglia di mitilo (si, una cozza!) e una scritta in basso (esergo) con la dicitura “dei Cumani” la quale aveva la chiara funzione di far capire l’origine della zecca di produzione. La presenza della ninfa che dà il nome alla città suggerisce la volontà di rappresentare una personificazione della comunità cittadina, un po’ come quando si rappresenta l’Italia come una donna con la corona a forma di torre o città, mentre la presenza della cozza richiama l’importanza di questo prodotto che doveva abbondare nella palude dell’Acherusia, ovvero il Lago Fusaro già caro agli abitanti di Cuma e se c’è un simbolo del mondo “materiale” ecco che il latrare di Cerbero ci porta nel mondo del mito e della religione che permea il sentire greco in questi luoghi: per gli antichi cumani i Campi Flegrei erano la porta di accesso al mondo dei morti, l’Ade, infatti i profondi crateri e le fumarole minacciose altro non erano che passaggi verso l’aldilà e dove c’è una soglia c’è un guardiano.
Il nostro cerbero è tale guardiano, custode del mondo infernale (ctonio) e dei suoi segreti e in particolare del passaggio più importante, il lago d’Averno. La natura vulcanica aveva reso i Campi Flegrei un amalgama fra fenomeni pericolosi e terreni fertili grazie alle ceneri vulcaniche e questo strano connubio doveva sembrare ai greci un luogo ideale dove far incontrare le frontiere fra il mondo dei vivi e quello dei morti e l’aspetto maestoso e mostruoso al tempo stesso del mastino cerbero incarnava perfettamente questa contraddizione.
Ma il cerbero delle monete cumane non è l’unica rappresentazione artistica giunta fino a noi: ben due reperti archeologici di età romana (e quindi successiva) ci mostrano il mastino tricipite e sono entrambi collegati a Puteoli, l’attuale Pozzuoli: mi riferisco alla statua del Dio Serapide rinvenuta presso il macellum (non a caso detto erroneamente Tempio di Serapide) e al Sarcofago di Prometeo rinvenuto a Pozzuoli in via Vecchia San Gennaro.
La statua del dio Serapide è un simbolo dell’archeologia flegrea e il relativo ritrovamento datato al 1751 presso le rovine romane del sito detto “vigna delle tre colonne” ha spinto i primi archeologici ad identificare quelle rovine come un tempio dedicato al dio raffigurato nel simulacro ma è ormai ampiamente dimostrato che l’enorme complesso edilizio non era altro che il mercato degli alimenti di età imperiale romana. In questa statua datata al II secolo il dio Serapide siede sul suo trono, con la mano destra regge uno scettro e con la mano sinistra accarezza Cerbero il quale è seduto docilmente a terra mentre un serpente a mo’ di guinzaglio cinge la gola su cui si innestano le tre teste. Serapide è una divinità di origine orientale molto adorata in Egitto in epoca romana e assume in sé caratteri della religione egizia e greca e in particolare viene rappresentato come una divinità suprema dell’Oltretomba (ctonia) che è anche connessa all’agricoltura e alla prosperità visto che il sottosuolo non è solo la dimora dei morti ma anche il luogo dove la terra trova la forza per rendere fertili i campi e “produrre” le risorse minerarie, lo strano copricapo che cinge la testa del dio (il kalathos) è un simbolo di ricchezza e salute. Se Serapide è un dio dalla doppia natura Cerbero con le sue tre teste mostra un altro simbolismo: già in passato ogni testa veniva associata a una delle tre declinazioni temporali (passato, presente e futuro) e la gola e il singolo corpo del mostro starebbero a significare la capacità del tempo di divorare tutto e in questa particolare raffigurazione puteolana il serpente che si arrotola sul collo della bestia può essere visto come un simbolo della ciclicità dello scorrere del tempo che tutto distrugge ma che tutto ricrea con ogni trasformazione, come ad esempio suggerisce il ciclo delle stagioni. L’originale di questo gruppo scultoreo si trova al Museo Archeologico nazionale di Napoli nella sezione della scultura della Campania romana riallestita a inizio 2023 mentre una copia in gesso fa parte della sezione “Puteoli” del Museo Archeologico del Castello di Baia.
Un altro Cerbero ancora più “addomestico” compare nello strepitoso sarcofago trovato a via San Gennaro Vecchia di Pozzuoli nel 1817 e risalente al IV secolo d.C. questo meraviglioso pezzo conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli è decorato con un ricco rilievo che raffigura un mito fondamentale per il paganesimo romano, ovvero la creazione del primo uomo da parte di Prometeo, il titano che diede origine ai mortali. Tutte le divinità dell’olimpo corrono a vedere il momento esatto quando prometeo instillerà l’anima nel primo corpo di un essere umano da lui creato, nessun dio vuole perdersi il momento in cui si vedrà se la creazione del titano funziona o meno: è divertente notare il dettaglio della divinità dell’anima, Psiche, che non vuole entrare nel corpo assemblato da Prometeo in modo da donargli un’anima, probabilmente non apprezza l’estetica della creazione e il dio dell’amore Eros è costretto ad incoraggiare la riottosa divinità affinché faccia il suo dovere. Sulla parte sinistra del sarcofago compare il dio dell’Oltretomba, Ade, in compagnia di Cerbero e secondo alcuni questa parte del rilievo raffigura uno scorcio degli Inferi, eppure Cerbero non sembra aggressivo né si dedica alla sua attività di custode, anzi il padrone, il dio Ade, lo tiene saldamente con una catena e accarezza una delle tre teste, è plausibile che la presenza di Cerbero e di Ade serva a ricordare agli Dei quale sarà il destino degli uomini inevitabilmente segnato dal confronto con la morte.
I “due cerberi” di Pozzuoli sono un po’ atipici perché in entrambi i casi Cerbero non svolge le sue mansioni ma si accompagna alla divinità che gli fa da padrone; la tomba dipinta giuglianese ci mostra invece un Cerbero enorme che campeggia per quasi tutta la parete affrescata e la presenza di Ercole e Mercurio ai lati della bestia non scalfisce la grandezza del mostro. Mostro che però verrà sconfitto da lì a breve da Ercole giunto nell’oltretomba per compiere l’ultima delle sfide che lo renderanno immortale: eliminare o domare Cerbero, cosa che il più grande eroe ellenico riesce a fare. Secondo i più il significato della sconfitta di Cerbero per mano di Ercole allude alla vittoria della gloria sul tempo: certo il tempo può divorare tutto ma la fama degli uomini meritevoli sopravvive anche alla morte e passa di generazione in generazione, un’idea molto cara alla cultura greca e al senso che questa dava alla cultura intesa anche come tradizione. Gli altri eroi greci che scendono agli inferi come Omero o Enea devono evitare Cerbero ricorrendo a trucchi perché non potrebbero mai batterlo ed Enea riuscirà a superare l’ostacolo solo grazie alla mitica Sibilla Cumana che farà addormentare il mastino dandogli in pasto una focaccia affatturata. In questo caso per “ingannare” il tempo all’eroe di turno serve un aiuto da chi è più esperto.
Nel Medioevo il nome “Cerbero” continuerà a godere di grande fama ma sembra quasi che la creatura perda le sue caratteristiche, basti pensare che Dante metterà Cerbero a guardia del III Cerchio dei dannati (i golosi) ma il mostro non sarà più un mastino e avrà barbe e teste umane anche perché il poeta fiorentino descrive la creatura più come un’allegoria del peccato di gola (tre bocche sempre occupate a mangiare) che come una creatura feroce dell’oscurità.
E quindi tutto ciò che resta di Cerebro nei Campi Flegrei si riduce ad un paio di reperti archeologici? In realtà no perché vi è un luogo nel comune di Bacoli che ancora ricorda il mostruoso mastino: è l’Antro di Cerbero, un’alta e profonda e galleria scavata nel promontorio di Torregaveta e al momento in parte riempita dalle acque del mare del vicino Lago Fusaro, la cui foce più vecchia passa qui vicino. L’area di Torregaveta ospitava la grande villa romana di Servilio Vazia Isaurico, un importante patrizio romano che qui scelse di ritirarsi a vita privata ed è probabile che l’Antro oggi semisommerso fosse all’epoca un passaggio pedonale (quindi all’asciutto) che permetteva di collegare meglio la retrostante villa all’approdo costiero, probabilmente l’attività bradisismica nel corso dei secoli ha fatto sprofondare questo tratto di costa trasformando il passaggio in una cavità semisommersa. Sarebbe bello credere che tale luogo ricordi il nome di Cerbero fin dall’età romana ma per come tanti altri toponimi flegrei questo luogo comincia ad essere chiamato così solo a partire dal XVIII secolo (o forse ancora dopo!) quando torme di viaggiatori ed antiquari giravano per i Campi Flegrei alla ricerca di testimonianza antiche per i fini più disparati e qualche viandante dall’immaginazione più fervida ha creduto di sentire fra i fragori dei flutti riverberati dal tufo anche il latrato di Cerbero e poi dal passaparola alla leggenda il passo è breve, in fondo sono anche queste le vie che prende il mito per manifestarsi fra gli esseri umani.
fonti:
“Museo Archeologico dei Campi Flegrei. Catalogo Generale 2. Pozzuoli” di F. Zevi, F. Demma ed E. Nuzzo
“Cuma e il suo parco archeologico. Un territorio e le sue testimonianze” a cura di Paolo Caputo